11 settembre 2024 - “L’unico porto in cui un privato si è costruito il suo terminal, partendo dalle banchine sino ad arrivare alle gru passando per piazzali, uffici, sistema informatico, è stato La Spezia. E quando si parla di privatizzazione degli scali marittimi italiani forse non si potrebbe e non si dovrebbe prescindere da questa esperienza di successo che è e rimane un unicum”.
A intervenire sul dibattito avviato su un, a oggi non
meglio definito, progetto di privatizzazione degli scali marittimi italiani, è
Andrea Fontana in rappresentanza della Community portuale della Spezia e
dell’Associazione spezzina degli agenti marittimi che presiede.
“L’Italia – prosegue Fontana – è davvero un Paese strano
nel quale anche a fronte di esperienze di successo, prevale la volontà di
reinventare tutto e di riscrivere norme e parametri. Nel caso del La Spezia
Container Terminal, considerato anche per i suoi incontestabili successi, una
cellula anomala della portualità nazionale la formula è stata tanto semplice da
apparire oggi banale. Un imprenditore privato ha messo a disposizione le
risorse per finanziare la costruzione di un terminal container che non
esisteva, lo ha allestito e fatto funzionare con standard di efficienza e
produttività per anni irraggiungibili altrove.
Per parte sua, lo Stato attraverso le sue emanazioni locali, che non si
chiamavano ancora Autorità di Sistema Portuale, ha tarato i tempi e i valori
del canone di concessione in modo che l’imprenditore privato fosse in grado di
far quadrare un piano industriale, rientrare del suo investimento e realizzare
profitti”.
Si parla - secondo la Community spezzina - di
privatizzazione dei porti e di regia unica, quando la necessità primaria
sarebbe quella di garantire una pianificazione nazionale delle risorse allocate
alla portualità mentre oggi ogni Autorità di Sistema Portuale riceve risorse
pubbliche e realizza banchine e terminal che probabilmente non serviranno a
nessuno e non potranno essere gestiti economicamente.