20 ottobre 2022 - Maggiori costi e nuovi lacci burocratici. Li denunciano Confitarma e Assarmatori, relativamente alla situazione che si è venuta a creare nei porti italiani a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 8 novembre 2021, n.197, relativo al recepimento della direttiva (UE) 2019/883, sugli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi.
Emblematico in tal senso è il caso delle navi di linea delle Autostrade del Mare per le quali la nuova normativa ha confermato l’impianto dell’esenzione preesistente, in base al quale le navi in possesso dei necessari requisiti verificati dall’Autorità marittima potevano conferire i rifiuti solo in un porto lungo la rotta.
L’unica vera novità – in aggiunta all’obbligo di stipula di un contratto di servizio con un impianto di raccolta situato in uno dei porti lungo la rotta della nave (condizione, talvolta, difficile da rispettare) – è rappresentata dal fatto che i requisiti devono ora essere verificati dall’Autorità di Sistema Portuale, che dovrebbe rilasciare apposito certificato di esenzione.
Condizionale d’obbligo, dal momento che le AdSP non rilasciano tali certificati.
Di conseguenza molte navi, pur mantenendo i requisiti di legge, hanno di fatto perso lo status di esenzione con un conseguente immotivato aggravio di costi ed oneri amministrativi per il ritiro rifiuti, in precedenza non previsti.
Al contrario, per gli erogatori del servizio di raccolta e smaltimento, che nella maggioranza dei casi continuano ad operare in regime di monopolio sebbene la nuova norma non preveda più la presenza a prescindere di un unico operatore, si sta registrando un ingiustificato incremento degli introiti, senza che siano mutati né i piani di raccolta dei rifiuti né i relativi piani di investimento.