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Moda. La crisi della supply chain


21 ottobre 2022 – È ben noto come, a partire dai primi anni Novanta, l’industria della moda abbia puntato in larga parte sulla delocalizzazione della produzione, principalmente per risparmiare sul costo del lavoro e aumentare così la marginalità. 

Da qualche anno, complice anche l’aumento dei prezzi di risorse e materie prime, stiamo assistendo al fenomeno contrario. Con il termine reshoring – o nearshoring – s’intende il rientro delle produzioni nei Paesi d’origine o comunque in geografie a corto raggio. Diversi studi hanno analizzato il fenomeno. 

A livello europeo, una delle ricerche più valide è stata realizzata fra il 2015 e il 2018 dall’European Reshoring Monitor, organismo nato dalla collaborazione tra Eurofound e un gruppo di ricercatori di diverse università italiane per monitorare i casi di reshoring nell’Unione Europea e nell’area EFTA (Associazione Europea di Libero Scambio). 

Nel quadro del progetto si sono registrati 253 casi di reshoring, il 60% dei quali fra il 2016 e il 2017. Il maggior numero di rimpatri della produzione ha interessato, nell’ordine, Regno Unito, Italia e Francia. Se prendiamo invece in considerazione i Paesi dove le produzioni erano state delocalizzate, il primato assoluto spetta alla Cina con il 30% dei casi, seguita a distanza da India e Polonia con il 6%. Il comparto tessile e moda di casa nostra vive un momento florido. 

Nel primo trimestre del 2022 la tessitura italiana è cresciuta del 34%, con un +46% nell’export, e questo a dispetto dell’impennata dei costi delle materie prime e di energia e gas. A spingere le realtà del tessile e moda verso soluzioni a chilometro zero sarebbe soprattutto l’esigenza di garantire servizi all’altezza della propria storia e un’opportunità per consolidare la propria reputazione anche in campo ambientale.
 “Quando si calcola il costo della catena di approvvigionamento di un'azienda, la produzione non è l'unica componente dell'equazione - spiega Francesca Rulli, Ceo della società di servizi Process Factory e ideatrice di 4sustainability® - il sistema e marchio che misura l’impatto ambientale e sociale delle filiere del fashion & luxury - Voci come il trasporto, la logistica e lo stoccaggio hanno un peso altrettanto rilevante. Oltretutto, non è solo una questione di soldi. La delocalizzazione pone infatti altri problemi come la minore qualità della produzione, il furto di proprietà intellettuale in Paesi dove i controlli sul rispetto delle leggi sono più labili, i bassi standard di salute e sicurezza nelle fabbriche e così via”.

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