8 settembre 2022 - Che la crisi alimentare sarebbe arrivata lo aveva denunciato, ben prima della guerra in Ucraina, il World Food Programme; che ciò avrebbe potuto determinare una carestia acuta per oltre 250 milioni di persone nel mondo e carenza di cibo per 1,6 miliardi di persone contro i 440 milioni (stimati negli anni precedenti) era contenuto in un documento dettagliato sulla crisi alimentare.
Questa previsione era basata sugli effetti della crisi climatica sulle produzioni agricole mondiali.
“Poi è arrivata la guerra che, con la chiusura dei porti ucraini e il conseguente stop all’esportazione – sottolinea il presidente della Federazione italiana agenti marittimi, Alessandro Santi – ha assestato un ulteriore colpo con un rapido incremento dei prezzi di tutti i cereali a livello mondiale (+ 20% secondo il food price index dell’ONU con picchi di incremento superiori al 70% su alcune rinfuse come il grano)”.
Mentre la riapertura delle esportazioni dai porti ucraini (3 milioni di tonnellate in agosto e una stima di 6 in ottobre) sta producendo un effetto calmierante sui prezzi, sottolinea Santi, clima e siccità continuano e continueranno a imperversare (la stagione in Europa si presenta con una stima globale al ribasso della raccolta di mais e di soia superiori al 15% rispetto alla media degli ultimi 5 anni; in America si stima una riduzione di almeno il 5% del mais) e per l’Italia il conto finale dei danni potrebbe risultare ancora peggiore.
La scarsità e imprevedibilità delle produzioni hanno determinato un effetto sui prezzi molto più impattante di quello della guerra: il food index è aumentato nel mese di agosto di quest’anno di ‘solo’ l’8% rispetto al 2021, ma del 34% rispetto alla media degli ultimi 5 anni: in particolare il mais e l’olio vegetale sono aumentati nello stesso periodo rispettivamente del 45% e del 93%. In Italia ci potremmo aspettare per l’effetto combinato di siccità e scarsità di acqua, una richiesta di import via mare nei prossimi 12 mesi di una quantità di mais comunque superiore ai 3 milioni di tonnellate.
“E qui – aggiunge il Presidente di Federagenti – iniziano i guai seri: con una pressione sui porti superiore al 30% rispetto quella media degli ultimi anni (mediamente attorno ai 10 milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari alla rinfusa in import), e definitivamente archiviate le tesi dell’autarchia e dell’autosufficienza agricola che spingerebbero il Paese verso la fame e la chiusura dell’industria agroalimentare oggi trainante per il suo export, il rischio di stress della catena logistica potrebbe diventare concreto”.