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Le microplastiche dei nostri vestiti avvelenano perfino l’artico


8 marzo 2021 – Il fatto che anche un ecosistema remoto e apparentemente incontaminato come l’Artico sia invaso dalle microplastiche è un segnale molto chiaro dell’emergenza ambientale che stiamo vivendo. Un recente studio pubblicato da Nature Communications aggiunge un nuovo tassello che ci chiama in causa in prima persona, come cittadini e come consumatori. Esaminando i campioni d’acqua raccolti in 71 diverse località, i ricercatori hanno rilevato una concentrazione media di 49 minuscole particelle di plastica per metro cubo. Il 73,3% era costituito da poliestere; in altre parole, da frammenti dei nostri vestiti sintetici.

 Magari in questi ultimi anni ci siamo abituati a riempire una borraccia con l’acqua di rubinetto invece di sprecare bottigliette, ma più di rado riflettiamo sul fatto che a ogni ciclo di lavaggio i capi d’abbigliamento rilascino particelle talmente sottili da sfuggire ai filtri delle lavatrici, essere trasportate nei fiumi e da lì nei mari. Qualche cifra ci aiuta a capire le dimensioni del fenomeno. Sugli 1,4 milioni di miliardi di microfibre presenti negli oceani, l’IUCN stima che il 35% derivi proprio dal lavaggio dei capi d’abbigliamento. Una percentuale considerevole; d’altra parte, appena 5 kg di fibra di poliestere possono generare fino a 6 milioni di microplastiche (De Falco, 2018). 

Preoccupa il fatto che queste particelle, una volta ingerite dai pesci, entrino nella catena alimentare e quindi nel nostro organismo: sono state trovate nella frutta e nella verdura, nel miele, nell’acqua di rubinetto e addirittura nella placenta umana. Ancora sconosciuti gli effetti sulla salute, ma diverse pubblicazioni scientifiche ci mettono in guardia dal loro contenuto di bisfenolo A, ftalati, metalli pesanti ecc. Sappiamo che l’88% degli italiani annovera la difesa dell’ambiente tra i valori più importanti della società odierna (dati Nielsen 2020), ma sappiamo anche che, di fronte a evidenze del genere, è facile sentirsi impotenti. Dobbiamo davvero rassegnarci a essere corresponsabili dell’inquinamento dell’Artico? 
“Fare la nostra parte per ridurre l’impatto è possibile. Come sempre è necessario partire dalla consapevolezza: conoscere quello che indossiamo e i pro e i contro dei vari materiali è importante esattamente quanto la storia dei cibi che portiamo in tavola”. 
Parola di Francesca Rulli, fondatrice e CEO della società di consulenza ProcessFactory, proprietaria del marchio 4sustainability® che garantisce l’autenticità del percorso delle aziende della filiera moda verso la sostenibilità.

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