Un dibattito televisivo a Trieste (porto sul quale si è focalizzato l’interesse di Pechino e scalo considerato la porta preferenziale di accesso ai mercati dell’est europeo accreditati di maggiori potenzialità di crescita economica e produttiva) ha acceso i riflettori su queste tematiche, facendo emergere dal confronto fra esperti di geopolitica, traffici marittimi, operatori portuali e intermodali e Autorità di sistema, alcune indicazioni importanti di prospettiva.
Il fatto che Trieste rappresenti un unicum nazionale anche dal punto di vista dei traffici è emerso con decisione evidenziando, nel confronto con gli altri porti nazionali, la forte preminenza di traffico internazionale. I competitors per Trieste – è stato evidenziato – non sono quindi i porti nazionali, ma i grandi scali del Nord Europa e i vicini porti esteri di Koper e di Rijeka. Ma a fronte di questo ruolo, l’atteggiamento dello Stato nei confronti del porto di Trieste resta quello di cronica sottovalutazione: ed è paradossale visto che lo Stato da anni, grazie al porto, incassa tasse, diritti portuali, Iva sulle merci, ovvero un flusso e un beneficio per l’erario che mai potrebbe spostarsi su altri scali nazionali ma andrebbe a totale beneficio di porti e Stati esteri.
Il dibattito, al quale hanno partecipato fra gli altri l’economista Giulio Sapelli, Zeno D’Agostino (Presidente dell’Autorità di sistema portuale), Davide Burani (Direttore public affairs dell’American Chamber of Commerce in Italia), Cesare Moscati (Direttore della Camera di Commercio Italia-Israele) oltre a Fabrizio Zerbini (chairman del Trieste Marine Terminal), Enrico Samer (Presidente dell’omonimo Gruppo) e Angelo Aulicino (Direttore generale di Alpe Adria), si è focalizzato quindi sul ruolo di totale autonomia che Trieste dovrà tutelare, rifiutando la prospettiva (forse anche allettante in tema di investimenti) di svolgere un ruolo analogo a quello del Pireo, porto greco ormai colonia della Cina.