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Il terzo occhio


12 aprile 2019 – Domani Sabato 13 aprile la Sala delle Terrazze di Castel dell’Ovo, ospita Il terzo occhio di Laura Matthey, seconda mostra personale dell’artista napoletana nella sua città d’origine. In mostra trenta lavori fotografici che immortalano lo sguardo interiore ed esteriore di un serie di personaggi appartenenti al mondo delle arti e dello spettacolo, selezionati dal corpus complessivo composto da oltre cento scatti. Maria Laura Matthey (Napoli, 1977) esprime la sua passione per l’arte nella miriade di volti che da sempre imprime su qualsiasi supporto e con qualsiasi strumento. Se la sua ricerca include l’esplorazione di diversi medium, dalla pittura alla performance, è l’uso della fotografia a realizzare compiutamente le sue ambizioni espressive.

A partire dal 2014 si concentra sull’archivio di sguardi che costituisce la serie Il Terzo Occhio, in cui l’immagine impressa all’interno dell’iride dei personaggi immortalati è il riflesso di una specifica visione interiore. Il progetto si definisce come una collezione di scatti raffiguranti centinaia di occhi, dentro i quali il riflesso rappresenta l’esteriorizzazione di un pensiero, di una sensazione o di un talento, a partire dalla concezione dell’occhio come finestra della mente che guarda, immagina e crea. Restituendo lo sguardo d'artista, i lavori ritraggono !! ciò !! che per Maria Laura Matthey è il "terzo occhio": la matrice dell’ispirazione, quel bello dentro che permette di lasciare traccia di sé e raggiungere il valore più alto della ricerca estetica. Senza subire interventi con programmi di fotoritocco se non per la modulazione cromatica del riflesso – fotografato dal vero utilizzando delle condizioni di illuminazione specifica e non inserito in post-produzione – le immagini risultano più o meno nitide, con una minuzia di particolari maggiore o minore dipendenti dalle condizioni di ripresa, testimoniando così il tentativo di far emergere la bellezza e l’interiorità del soggetto seguendo un processo produttivo non artefatto.

Il percorso espositivo ha avvio nella sala a piano terra dedicata al rispecchiamento del sè: se infatti nell’iride degli artisti Betty Bee, Antonio Biasucci e Giovanni Gastel si riflette una propria opera, in quello di Eugenio Viola è presente, tramite l’uso di uno specchio, il proprio volto riflesso. La sala centrale del piano terra è costruita sull’associazione di visioni condivise: Mimmo Jodice e Steve McCurry, con l’espressività che caratterizza fisiognomicamente l’occhio di entrambi, si specchiano l’uno nell’altro facendo dialogare i loro lavori più iconici; gallerista e artista si incrociano scambiandosi il posto (Schoeller-Raczinski); nell’occhio del mecenate si riflette lo spazio che ospita la scultura visibile nel riflesso dell’altro (Wiedmar-Murelli) mentre alcuni tra i più influenti galleristi italiani (Artiaco, Di Marino, Minini) mostrano i lavori caratterizzanti l’evoluzione delle proprie carriere. Un gioco di specchi che coinvolge anche la stessa Matthey, presente nel riflesso di ciascuno. La sala centrale del secondo piano, invece, lascia più spazio al potere evocativo dello sguardo nello sguardo. La presenza della Matthey scompare e l’immagine ritratta può dispiegarsi ed imporsi per la sua forza estetica, divenendo, nell’associazione tra occhio e riflesso, idea che da ispirazione si fa ispiratrice.

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