8 gennaio 2019 - Italia e Spagna dovranno conformare i rispettivi sistemi di tassazione dei porti alle norme in materia di aiuti di Stato. Lo conferma la Commissione europea, secondo cui l’esenzione dall’imposta sulle società per i porti che realizzano profitti può rappresentare un vantaggio competitivo sul mercato interno. La decisione, sulla scorta di analoghi provvedimenti presi a carico di Paesi Bassi, Francia e Belgio tra il 2016 e il 2017, si basa sulla distinzione riconosciuta in materia tra attività “economiche” e “non economiche” che possono essere svolte da uno scalo. Da una parte le operazione di sicurezza, controllo del traffico marittimo o di sorveglianza antinquinamento, escluse dal campo di applicazione della normativa sugli aiuti di Stato; dall’altro lo “sfruttamento commerciale” delle infrastrutture, come nel caso della concessione dell’accesso in porto dietro pagamento vi rientra in pieno.
Le norme Ue in materia di aiuti di Stato prevedono che gli Stati membri dispongano di ampi margini di manovra per l'adozione di misure di sostegno e di investimento a favore dei porti - sottolinea Margrethe Vestager, Commissaria responsabile per la Concorrenza. Al tempo stesso, per garantire condizioni eque di concorrenza in tutta l’Unione, i porti che generano profitti esercitando attività economiche vanno tassati allo stesso modo degli altri operatori economici - né più, né meno.
Il procedimento della Commissione, avviato nell’Aprile 2018, prevede due mesi di tempo per le controrepliche prima dell’invito ad adeguare la legislazione a partire dal 1 gennaio 2020. In Italia i porti sono integralmente esentati dall’imposta sul reddito delle società. In Spagna la misura riguarda i principali cespiti, ad esempio le tasse portuali o i redditi derivati da contratti di locazione o concessione, ad eccezione dei Paesi Baschi, dove l’esenzione è totale.
Eliminare i vantaggi fiscali ingiustificati non significa che i porti non possano più ricevere contributi statali, evidenzia una nota di Bruxelles.
Nel maggio 2017 la Commissione ha infatti semplificato le regole che disciplinano gli investimenti pubblici negli scali con l’estensione del regolamento generale di esenzione per categoria agli investimenti “non problematici” nei porti.
Gli Stati membri possono ora investire fino a 150 milioni di euro nei porti marittimi e fino a 50 milioni di euro nei porti interni nella piena certezza giuridica e senza previo controllo della Commissione. Il regolamento autorizza ad esempio le autorità pubbliche a coprire le spese di dragaggio dei porti e delle relative vie di accesso.
Prevista anche la compensazione dei costi sostenuti nello svolgimento di compiti di servizio pubblico (servizi di interesse economico generale).