Esigenza che tocca da vicino anche il settore dei trasporti marittimi e portuale. Vettori della globalizzazione. Porta di accesso verso la penisola non solo di merci e relazioni economiche ma anche di attività illecite. Possibili obiettivi finali o mezzi d’infiltrazione per attività di natura terroristica. È a queste problematiche che fa riferimento il volume “Il pericolo viene dal Mare. Intelligence e portualità” (Rubbettino Editore) di cui si è discusso alla Stazione Marittima di Napoli, alla presenza degli autori, Andrea Sberze e Mario Caligiuri, del presidente dell’AdSP del Mar Tirreno Centrale, Pietro Spirito, del Contrammiraglio Francesco Chiappetta e del Vicario del Club Atlantico di Napoli, Giosue Grimaldi. Una ricerca che invita a riscoprire “la dimensione marittima” della sicurezza nazionale, “in un Paese – sottolinea Mario Caligiuri, Direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria – che ha voltato le spalle al mare”. Novità, “in una letteratura di settore appannaggio per lo più del mondo anglosassone”, spiega Sberze, che pone una serie di interrogativi per il futuro del nostro sistema portuale. A cominciare dalla divaricazione tra la dimensione economica e quella securitaria, ulteriormente amplificata dai processi in atto nel settore della logistica.
“L’attuale di integrazione verticale nella gestione della filiera – conferma Spirito – registra un effetto paradossale nel singolo porto: da un lato riduce la concorrenza tra operatori dall’altro favorisce una migliore gestione della security”.Ciononostante, aumentano i rischi legati alla “concorrenza selvaggia” tra gli stessi scali.
“Con un’estensione di zone costiere pari a 70mila chilometri l’Ue non può più pensare di affidarsi a modalità di controlli che variano da paese a paese. Senza livelli minimi di sicurezza per tutti quanti rischiamo prima o poi che l’anello debole del sistema venga attaccato”.Scarsa “dimensione europea” sul tema security al centro anche delle osservazioni, più generali, di Franco Roberti. Per l’ex Procuratore nazionale antimafia mancherebbe quando non proprio la volontà da parte degli stati membri una politica di coordinamento efficace.
“Le difficoltà ad ottenere collaborazioni transnazionali sono palesi, la figura del procuratore europeo, prevista dal Trattato di Lisbona, è ancora lontana”. Una situazione in divenire che induce alla rivalutazione del concetto di “interesse nazionale”.
“Per un paese come l’Italia, la cui storia è stato troppo spesso determinata da fattori esterni, è un obbligo. E in quest’ottica l’intelligence, a cominciare da quella portuale, può diventare elemento essenziale per indirizzare indagini e controlli. È arrivato il momento di una collaborazione più stretta trabi rispettivi ambiti di competenza”.
G. Grande