“Il pericolo – spiega Luca Antonellini, membro di Sipotrà, associazione impegnata nell’analisi della politica dei trasporti – è che una segnalazione relativa a una qualsiasi infrastruttura portuale esistente in Italia basti ad innescare l’apertura di una procedura d’infrazione a Bruxelles”.
I fatti di Napoli sono presto detti e danno la misura della posta in gioco. A fine giugno la Commissione Ue comunica l’apertura di un’indagine approfondita per verificare se una parte dei fondi messi a disposizione dell’ente portuale sono in linea con le regole sugli aiuti di Stato. Si tratta, in particolare, di 44 milioni di euro usati per ammodernare i bacini di carenaggio dati in concessione su base trentennale alla Camed. In pratica, Bruxelles intende verificare se l’azienda privata possa aver beneficiato degli interventi di miglioramento di un asset dello Stato.Probabile conseguenza di una “guerra dei cantieri” che si combatte da anni attorno alla gestione dei bacini pubblici, la vicenda registra un colpo di coda. La replica, affidata allo Studio Legale Munari Giudici Maniglio Panfili & Associati, allerta la burocrazia europea sulla destinazione di altri finanziamenti assegnati all’Ap, denunciando di fatto la situazione “borderline” cui sono potenzialmente suscettibili tutte le banchine della penisola.
“In assenza di un appalto per l’uso dei bacini – questa la tesi – la Camed può usare le strutture rinnovate per fornire servizi di riparazione ad un prezzo potenzialmente sotto mercato”.
L’attenzione, così, cade su 100 milioni di euro (di cui 18 per canoni demaniali non riscossi) utilizzati per una serie di interventi – prolungamento dei moli Bausan e Flavio Gioia, costruzione di due gru da banchina al molo Bausan, copertura dell’Alveo Pollena – che avrebbero indirettamente favorito società appartenenti alla galassia MSC. In sintesi, un clamoroso precedente che qualora varcasse i confini del porto di Napoli potrebbe aprire una stagione di contestazioni a catena. Giovanni Grande