La stragrande maggioranza delle imprese che hanno attuato un'organizzazione logistica, operativa oppure solo commerciale, o amministrativa all'Est, sono quelle più strutturate, e cioè con una dimensione minima di 30-40 mezzi.
"L'esodo degli autotrasportatori all'Est ha sottratto all'erario - secondo uno studio di Trasportounito - risorse economiche quantificabili, nel periodo di sette anni, in oltre 8 miliardi di euro fra oneri, imposte dirette, accise sui carburanti e tasse; e ciò senza considerare il negativo impatto sociale sull'intero comparto dell'autotrasporto che ha subito la perdita di almeno 120 mila posti di lavoro, ma anche sull'indotto, con la riduzione delle attività delle officine o addirittura la loro chiusura, unitamente a quella dei concessionari di mezzi industriali".
"Sono tutte imprese da colpevolizzare? Imprese da condannare perché hanno trovato altrove l'habitat per lavorare? No. Queste 25.000 imprese - afferma Maurizio Longo, segretario generale di Trasportounito - testimoniano che l'Italia è ormai definitivamente fuori dal mercato, che ha posto in essere tanti e tali vincoli, ostacoli normativi e burocratici, ma anche forme di pressione non solo fiscale, che rendono il nostro paese incompatibile con la sopravvivenza delle imprese di autotrasporto e di logistica".
"Cercare di arginare il fenomeno della delocalizzazione significherebbe - conclude Longo - confondere causa con effetto: gli imprenditori del settore fanno e cercano di fare impresa, e questo non è possibile in un paese fiscalmente letale che alle tasse somma i danni quotidiani di una struttura operativa anacronistica. E' per questo che, allo stato attuale, non esiste neppure la più lontana speranza di riportare le attività delle azienda a casa".