È la prospettiva indicata dai relatori di “Dove va la cooperazione?” quarto e ultimo incontro di €conomia sotto l’ombrellone 2015. Sergio Emidio Bini, presidente di Euro&Promos Group, Franco Bosio, presidente di Confocooperative Fvg ed Eugenio Sartori, direttore dei vivai cooperativi di Rauscedo hanno concordato nel sottolineare quelli che sono i punti deboli del settore cooperativo, su cui bisogna lavorare per consolidare la propria struttura e il proprio business; condizioni, queste, per continuare a svolgere la propria missione sociale.
«La cooperativa è una società che non ha capitale, non remunera il capitale e che reinveste in azienda tutto l'utile prodotto –ha spiegato Franco Bosio, che guida una federazione che rappresenta 700 cooperative con 21 mila addetti a livello regionale–. Se questo da un lato è un vantaggio, dall'altro crea problemi di crescita, perché rende difficile ottenere finanziamenti dal sistema bancario e ancor più dai fondi di investimento.
D'altra parte le cooperative sono aziende che nascono sul territorio, che vivono nel e per il territorio e non delocalizzano mai il lavoro, anche a costo di qualche svantaggio concorrenziale. Certamente, poi, esiste un problema di crescita dimensionale; basti pensare al sistema della grande distribuzione dove le coop stanno cercando di aggregarsi per meglio competere con le grandi multinazionali presenti sul mercato italiano o al sistema delle Bcc, accusato di soffrire di nanismo per essere competitivo e che sta studiano le forme possibili di crescita e aggregazione».
«Certamente - ha sostenuto Eugenio Sartori, che dirige una cooperativa con 85 anni di storia e di gran lunga leader mondiale nella produzione di barbatelle con 70 milioni di pezzi venduti nel 2015 – molte cooperative soffrono di nanismo, di scarsa capitalizzazione e di un difficile accesso al credito, ma non sempre è così. Ci sono sempre più cooperative che nel tempo hanno saputo capitalizzarsi, innovare e crescere.
Ci sono, inoltre, sempre maggiori dimostrazioni di intelligenza da parte della dirigenza cooperativa che sta dando vita a unioni e fusioni per ottenere le dimensioni necessarie ad aggredire adeguatamente il mercato interno e internazionale. In questo modo non solo le grandi cooperative riescono a garantire lavoro sul territorio, ma spesso anche a investire, non delocalizzando, in altri territori, talvolta magari anche all'estero, come abbiamo fatto noi in Francia e in California».