il punto della situazione presentando, in collaborazione con l’Università di Varese, una ricerca che spieghi in modo esaustivo le caratteristiche della categoria”. Una realtà comprendente l’intera filiera logistica, composta da 31 associazioni territoriali, in rappresentanza di circa 2.200 aziende per 80mila dipendenti impiegati direttamente, che sconta quotidianamente la mancanza di un preciso quadro normativo.
Perché la richiesta di un riconoscimento legislativo?
È chiaro che non è più tempo di albi e non è nostra intenzioni fare richieste fuori tempo massimo. Ma gli operatori logistici possono essere considerati dei veri e propri “sopravvissuti” alla tempesta del neoliberismo; hanno affrontato questi anni senza reti di protezione adeguate. Il riconoscimento giuridico del nostro profilo specifico ci permetterebbe finalmente di ovviare a certi oneri che rendono più gravosa l’attività. Un’esigenza che si sente in modo particolare nelle questioni contrattuali dove dobbiamo fare riferimento ad altre figure. Rinunciare ad inquadrare un settore che complessivamente fattura 20 miliardi di euro e, per caratteristiche operative, deve confrontarsi in un contesto comunitario dove ogni Paese contempla norme specifiche, significa cedere soprattutto sul terreno della competitività. Non ci interessa nessun tipo di protezionismo, le nostre aziende hanno una vocazione naturale verso l’internazionalizzazione dei mercati e ne seguono le evoluzioni.
Come è cambiato l’orizzonte delle attività?
Le trasformazioni delle aziende di spedizione sono andate di pari passi con quella della movimentazione delle merci, supportando la specializzazione manifatturiera del Paese. Le innovazioni tecnologiche, la complessità delle catene logistiche hanno di fatto superato la tradizionale definizione di “ingegneria” o “architettura del trasporto” trasformando lo spedizioniere in un “consulente” a tutto tondo: oggi è necessario possedere un know how consolidato su regolamenti, metodi di pagamento, analisi dei mercati. Una complessità di approccio riconosciuta anche a livello universitario.
Qual è il rapporto con il mondo della formazione?
Migliore che in altri ambiti. In diversi atenei italiani sono già attivati corsi in ingegneria ed economia che rispondono alle nostre specifiche esigenze; a Milano, Genova, Napoli, solo per fare qualche esempio, ci sono corsi di specializzazione, con collaborazioni dirette con le aziende: un contatto con il mondo del lavoro che permette una selezione verso l’alto della qualità degli operatori.
Quanto ha impattato la crisi sulle attività?
Oggi viviamo un periodo di stabilità dopo la grande tempesta degli anni scorsi. Siamo riusciti a resistere anche in virtù della consuetudine a confrontarsi con le difficoltà operative. Tutta la supply chain a partire dal 2007/08 ha registrato grandi esodi ma, specie negli ultimi tempi, c’è anche qualcuno che rientra. Starà alla nostra capacità di adeguare il sistema nazionale dei trasporti la possibilità di cambiare definitivamente pagina.
Giovanni Grande