Suez, che vedrà raddoppiato il numero delle navi da 49 a 97 unità al giorno con il transito delle portacontainer di nuova generazione, aumenteranno notevolmente i traffici marittimi. Secondo le previsioni degli analisti della società di consulenza olandese Dynamar, già quest’anno i traffici regionali feeder intramediterraneo raggiungeranno i 15,6 milioni di teus, in crescita rispetto ai 14,9 milioni del 2014.
E nel 2017 saliranno a 17,1 milioni. E Ocean Shipping Consultants stima il raggiungimento dei 40 milioni di teu entro il 2020 che dovrebbero salire a 51,8 nel 2025. Diventa quanto mai necessaria una riflessione, secondo gli analisti di Srm, il Centro studi di Intesa Sanpaolo. Visto che i traffici per il Pireo sono cresciuti del 20%, Tangeri vola addirittura con un incremento del 40% e con una minore percentuale vola Algesiras che, con 4,3 milioni di teu movimentati ha superato Valencia nel traffico container, come si collocheranno i porti italiani, coinvolti in queste rotte? Soprattutto per il fatto che saranno sempre più le grandi navi a varcare i mari? I numeri delle commesse a luglio 2014 sono infatti eloquenti: delle 133 navi ordinate di stazza superiore ai 10mila teu, 95 sono superiori ai 13.300.
Senza considerare le 20mila già in circolazione. Da qui l’esigenza per i porti italiani di non rinviare gli interventi previsti per ammodernare ed adeguare le proprie strutture e passare ad un livello superiore. Sostiene Srm:
“L’Italia ha già ceduto traffico al Pireo ed a Tanger Med e non può permettersi di perdere anche le opportunità che si presenteranno in futuro. La Spagna investirà quest’anno 844 milioni di euro nel rafforzamento dei porti ed anche questo deve lasciar riflettere. Ciò che più lascia perplessi è che il traffico ceduto non rappresenta un segnale di maggiore competitività degli altri porti ma è solo demerito dovuto alla nostra burocrazia, alla lentezza, a pochi metri di dragaggio davanti al quale il Belpaese è rimasto fermo”.Alla necessità di adeguare le infrastrutture degli scali si aggiunge quella che deriva dalle grandi alleanze dei gruppi armatoriali, sempre più interessati ad accorciare le distanze ed i tempi di consegna delle merci. Al riguardo, se lo Sblocca Italia prevede l’elaborazione di un piano di sviluppo del sistema portuale italiano, Srm stima su un panel di 14 porti un’esigenza infrastrutturale per un valore di circa 4 miliardi di euro da spendere secondo una scala di priorità.
L’analisi del Centro studi di Intesa Sanpaolo rileva inoltre tutta l’importanza che il trasporto marittimo riveste per l’economia italiana. Si tratta, infatti, non solo di una delle principali modalità di trasporto utilizzate per l’entrata e l’uscita delle merci, ma anche di un comparto in crescita rispetto al passato. Cina e Stati Uniti sono i due partner più rilevanti con un interscambio complessivo quantificabile in quasi 35 miliardi di euro. Con il primo, in particolare, l’Italia ha in essere per lo più rapporti d’importazione legati a macchine ed apparecchi meccanici e a prodotti derivanti dall’industria tessile e dell’abbigliamento.
Nei confronti degli Usa, invece, l’Italia si configura principalmente come paese esportatore di apparecchiature meccaniche, prodotti alimentari e mezzi di trasporto. Restringendo il campo d’osservazione all’area europea, Srm rileva invece come i principali rapporti commerciali avvengano con Spagna e Francia, due paesi che pure stanno investendo sull’adeguamento dei propri porti. Il dato sull’interscambio è comunque solo uno dei possibili parametri da considerare per valutare l’impatto del settore marittimo sull’economia nazionale.
Non va infatti tralasciato che l’Italia conta oltre 2mila imprese impegnate nello shipping e che le principali aziende del comparto fanno registrare un fatturato complessivo che sfiora i 50 miliardi di euro. E se per Sicilia e Sardegna la movimentazione delle merci via mare è di primaria importanza, è rilevante anche per gli introiti commerciali in aree come Lazio, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto dove sono dislocate diverse centinaia di aziende.
Gli analisti di Srm non tralasciano uno sguardo alle politiche comunitarie che con la nuova Agenda 2014-2020 prevedono nuovi investimenti indirizzati allo sviluppo di infrastrutture, tanto nel comparto dei trasporti quanto in quello dell’energia e delle telecomunicazioni.
Eduardo Cagnazzi