insieme i dati relativi alle toccate settimanali sulla direttrice Far East – Nord Europa in relazione alla crescita dimensionale delle navi. L’introduzione di Ultra Large Container Vessel starebbe confermando, sostanzialmente, la rotazione tradizionale che prevede toccate in almeno quattro dei grandi porti settentrionali.
Uno schema consolidato che ruota attorno a uno scalo nella regione del Benelux (Rotterdam o Anversa), uno in Germania (Amburgo o Bremerhaven), Inghilterra (Felixstowe o Southampton) e Le Havre o uno dei porti europei non serviti abitualmente in passato. Come Danzica, in Polonia, tra le destinazioni scelte dalle compagnie a partire dal 2009 per motivi congiunturali (sfruttare l’eccesso di stiva e i vantaggi dello slow steaming), al fine di ottenere maggiori margini con l’estensione dei tempi di viaggio. Resta, ad ogni modo, la costante di servizi container sparpagliati su una pluralità di banchine anziché sulla via di un preconizzato mega-hub regionale, frutto di una selezione darwiniana.
Quasi una conferma del vecchio adagio per cui la nave deve posizionarsi nel luogo più prossimo alla destinazione finale, dove troverà un mercato maggiormente esteso. Eppure, la crescita dimensionale delle navi, pur non intaccando il numero di porti coinvolti nel loop Far East – Nord Europa, qualche conseguenza l’ha avuta. “Il numero totale di chiamate – sottolinea Drewry – è sceso da 159 a 101 negli ultimi 5 anni mentre la grandezza delle unità è aumentata di oltre il 50% , raggiungendo quasi 11.000 Teu. Ogni nave tocca ancora più o meno lo stesso numero di porti ma si registrano meno servizi settimanali e carichi da smaltire per singolo approdo maggiori.
Ad esempio, nella prima metà del 2014, il porto di Amburgo ha ricevuto 244 ULCV superiori ai 10 mila Teu, il 27% in più rispetto all’anno precedente”. I fattori che alimentano la tendenza sono noti: economie di scala, grandi alleanze (che evitano la duplicazione degli approdi), riduzione del numero dei vettori (con l’uscita di MESC e Zim). Una serie di elementi che confermerebbero l’inclinazione, denunciata in più di un’occasione da uno dei maggiori esperti del settore come Sergio Bologna, a un’eccessiva dipendenza dei porti dalle strategie dei liner internazionali.
Giovanni Grande
(leggi l’articolo completo su PORTO&diporto Novembre 2014)