del settore privato, credo sia opportuno portare a conoscenza l’opinione della nostra Associazione. Crediamo che tale misura - ha affermato Gustavo De Negri, Presidente Pmi Campania - se venisse davvero inserita nella Legge di Stabilità, sarebbe un errore macroscopico da parte del Governo ed a farne le spese sarebbero tutti gli attori in gioco: lo Stato, le Imprese ed i Lavoratori.
Le piccole e medie imprese, già stremate da oltre un lustro di crisi ed a corto di liquidità per la contrazione del credito, sarebbero chiamate a pagare un prezzo troppo alto, dovendo anticipare risorse preziose nonché utili per eventuali investimenti; per le Pmi, un “buco” annuo da oltre cinque miliardi e mezzo di euro.
Bisogna comprendere che per i lavoratori il Tfr è salario differito, per le imprese debito scadenzato; quindi non è pensabile chiamare le imprese ad anticipare i crediti vantati dai lavoratori per sostenere, ulteriormente, l’economia, oggi, inflattiva, in un momento in cui per le aziende ottenere credito per il consolidamento o, l’auspicato, investimento è sempre più arduo. Se alcuni credono di utilizzare tali provvedimenti a fini propagandistici, in quella che appare una continua ed infinita campagna elettorale, hanno, di certo, fatto male i conti.
Le varie contraddizioni che si evincono risiedono sulla sostenibilità per il sistema della previdenza pubblica e privata ed il trattamento fiscale. Sul primo fronte, come ha ricordato, qualche giorno orsono, anche Massimo Fracaro dalle colonne del Corriere della Sera, mettendo il Tfr in busta paga, verrebbero a mancare all’INPS tre miliardi di euro l’anno, ovvero la metà dei sei che l’Istituto incassa ogni anno sotto forma di flussi di Tfr dei dipendenti privati ed, in tal modo, anche i fondi pensione potrebbero contare su meno risorse e la previdenza integrativa continuerebbe ad avere vita stentata.
Dal punto di vista fiscale, il Tfr, quando viene erogato alla cessazione del rapporto di lavoro, come avviene normalmente, è soggetto a tassazione separata e agevolata. Ci chiediamo, se quei soldi verranno dati subito, anziché alla fine del percorso professionale, a quale aliquota saranno soggetti? Cumularli con il resto dello stipendio equivale a dire che il lavoratore dovrà versare al fisco l’aliquota Irpef corrispondente al proprio scaglione di reddito e, di conseguenza, superiore alla tassa agevolata, senza calcolare gli interessi che maturerebbero sull’accantonato, se erogato dopo l’excursus lavorativo.
L’ultimo, ma non per questo meno importante, quesito che ci poniamo è: se davvero il Governo crede nella bontà delle misure paventate, perché tali “vantaggi” non vengono estesi anche ai lavoratori dipendenti del settore pubblico? I quesiti che ci poniamo, ma ai quali non riusciamo a dare risposta, sicuramente poggiano sull’inadeguatezza e l’approssimazione della classe politica di questo Paese.