Ci sono persone per cui il rapporto con mare, con le sue attività, diventa cifra esistenziale. Visione a tutto tondo della vita. Antonia Autuori, Amministratore Delegato dell’Agenzia Marittima Michele Autuori, appartiene a questa categoria. “Forse – spiega – perché dopo quattro generazioni impegnate nell’attività marittima
assorbi qualcosa dall’ambiente circostante, impari a guardare la realtà da un punto di vista tutto particolare”. Un mondo che l’Autuori non si limita a considerare solo dal punto di vista lavorativo ma che cerca, attraverso le innumerevoli iniziative dedicate al welfare del mare, come presidente della Stella Maris, di portare ad un livello maggiore di senso e dignità; mettendo insieme crescita economica e difesa della qualità del lavoro, competenza operativa e partecipazione comunitaria, efficienza e solidarietà.Da dove nasce questa passione?
Dopo una laurea in informatica ed esperienze lavorative a Milano e Roma ho scelto di tornare a Salerno. Ho dovuto imparare tutto da zero e riconquistare un nuovo rapporto con la città e le attività del suo porto che avevo osservato con curiosità fin da bambina. La natura della nostra attività, l’agente marittimo, ha fatto il resto. Come interfaccia tra le operazioni di terra e quelle di mare maturi una conoscenza delle situazioni umane che trascende il solo aspetto operativo.
Come giudica i successi dello scalo?
Il sistema portuale ha dimostrato di poter competere a livello internazionale ma rischia, alla lunga, di morire di troppa salute. Non è una contraddizione. La crescita di traffici fa emergere la difficoltà storica a trovare spazi retroportuali. E non essere in grado di assecondare la crescente domanda di servizi ci espone al rischio di perdere quello che è stato faticosamente guadagnato. A questo punto credo sia il caso di pensare in modo serio ad attivare sinergie con Napoli.
Un’ipotesi che ha prodotto non poche polemiche.
Ho la tendenza a guardare il bicchiere mezzo pieno. Se sarà presa la decisione dell’accorpamento Napoli – Salerno bisognerà per forza di cose rimboccarsi le maniche e guardare a sviluppare un sistema integrato. Un’ipotesi che non potrà non passare da un superamento della situazione attuale: due porti slegati dalla ferrovia non hanno futuro.
Basta questo?
Certo che no. Essenziale sarà lo sviluppo del concetto di smart port. Nel Nord Europa l’hanno capito e hanno spinto con forza verso l’automatizzazione dei processi. Infine, la consapevolezza.
In che senso?
Manca l’esatta conoscenza del mondo dello shipping e della logistica, della loro capacità di trainare l’economia, di essere occasione vera di sviluppo. I territori ormai non danno più importanza ai porti e da questo sono penalizzati, al di là dell’economia. Ogni scalo è anche una finestra che guarda sul mondo, è un luogo che permette di mescolare culture, conoscenze, visioni della vita. E in questo ritorno alla situazione da “invisibili” che vivono i marittimi oggigiorno. Senza punti di riferimento a terra, senza la possibilità di arricchire la loro e la nostra conoscenza viene meno la funzione civilizzatrice del mare, il suo essere ponte tra le culture. Anche impegnarsi per questo arricchisce la vita.
Giovanni Grande
(leggi l’intervista completa su PORTO&diporto Giugno 2014)