eccessi degli anni del boom va recuperata la tradizionale vocazione industriale del settore, senza tentazioni di arroccamento. Un discorso valido, a maggior ragione, per un armamento come quello italiano, caratterizzato da schemi societari familiari o dalla base ristretta; un comparto, per di più, costretto a confrontarsi quotidianamente con una burocrazia spesso macchinosa rispetto a quelle degli altri paesi.
Ne discutiamo con il Presidente del Gruppo Giovani Armatori di Confitarma, Andrea Garolla di Bard, che ha posto questi temi al centro del suo mandato. Qual è lo stato attuale del mercato? Malgrado l’attuale flessione dei noli, in parte legata a fattori stagionali, si è assistito recentemente ad una lieve ripresa che ha fatto ben sperare. Sicuramente le navi ordinate negli scorsi anni sono tante ma ci auguriamo di assistere nel lungo periodo ad un riequilibrio tra domanda e offerta di stiva attraverso anche un progressivo facing out di unità rese obsolete dalle nuove tecnologie o scartate dai vetting sempre più severi delle società noleggiatrici.
E l’armamento italiano? Il nostro armamento è caratterizzato principalmente da aziende familiari, nella maggior parte dei casi esistenti da diverse generazioni. Sono realtà che nel corso degli anni hanno spesso già affrontato periodi più o meno gravi di crisi economica e che hanno sempre operato in una visione di lungo periodo, ben lontana dalle logiche speculative a cui negli anni scorsi ed anche recentemente si è assistito. Per crescere e poter reggere il confronto con i grandi armamenti tradizionali, oltre che con quelli delle grandi realtà dei paesi del Sud Est asiatico o in generale dei paesi emergenti, però, un settore capital intensive come lo shipping ha continuamente bisogno di finanza per essere competitivo.
Considerando il rapporto tra le aziende italiane e gli istituti di credito, credo che il know how accumulato, insieme al percorso di strutturazione e ringiovanimento tuttora in corso, riduca notevolmente il rischio che le banche di questi tempi associano al settore.
Giovanni Grande
(leggi l’intervista completa su PORTO&diporto Maggio 2014)